Emèresi

rivista di scrivere, di leggere, di commentare, di ragionare la letteratura

Home Letteratura Critica Teorica Libellus Editoriali Procedure Biblioteca Staff
 
Letteratura

L'antenata cartacea di Emèresi

Cultura poetica e poesia invisibile negli anni '70

 

 

Questa rivista online ha un'antenata cartacea, il cui titolo era lo stesso, Emeresi, salvo il segno dell'accento che ora ne precisa la dizione. Ma non vi è stata nessuna appropriazione indebita fra il brevissimo esperimento editoriale del 1978 e l'iniziativa, si spera duratura, di oggi, perché uno degli attori del primo è tra i fautori della seconda.

 

L'Emeresi stampata fu un esempio di un certo pionierismo appassionato di quegli anni. Pionierismo perché diversi fenomeni storici e letterari avevano concorso a ratificare una nuova situazione d'emergenza, che seguiva di non molto tempo la (relativa) distensione e le illusioni di "nuovo umanesimo" del dopoguerra. Per sommissimi capi: c'erano stati il "boom" economico e l'avvento del "neocapitalismo" consumista, la scossa linguistico-ideologica delle neo-avanguardie e la liquidazione critica delle poetiche immediatamente precedenti, definite "populiste" o "decadenti", quindi la complessiva crisi culturale chiamata "Sessantotto", l'avanzata della classe operaia e le conquiste sindacali, e a ridosso il cosiddetto "riflusso" dell'impegno civile e un decennio di sanguinario terrorismo politico. Così, ancora virgolettando termini usati in quei frangenti, pur nella caduta della sua "funzione sociale" e nel suo dichiarato "vuoto", bisognava ricollocare in qualche posto la letteratura ed entro di essa la poesia, e di questa temi e toni proponibili ai lettori di una società movimentata e sempre più mutante.
D'altro canto, non che in Italia non sorgessero iniziative simili, anzi ve n'erano forse a centinaia soprattutto nelle realtà periferiche, dove i ranghi intellettuali possedevano un ruolo locale di rilievo. Ma in una città ormai troppo grande, importante fra i poli del dibattito letterario (su tutti ancora Firenze, poi Napoli, Milano, Torino e altri capoluoghi di provincia) ma sede maggiore dei dissidi politici, e troppo eterogenea come Roma, che cominciava a confondersi, era tutto più difficile.
Sulle riviste più note, affermate da tempo o recenti (Nuovi Argomenti, Il Verri, Altri Termini, Collettivo r, Salvo Imprevisti, Pianura e altre), si svolgevano le riflessioni di sostanza (quali fossero le vie della letteratura, autonome o funzionali alla realtà sociale) e giungevano indicazioni operative per contrastare i monopoli editoriali dei libri "da consumo" (il ciclostile e la distribuzione volontaristica, oppure una stampa competitiva autofinanziata da forme di cooperazione). Le riviste minori, le rivistine o quaderni, del tipo l'Emeresi di carta, erano i tentativi sommersi di contribuire alla rimozione dello stallo, o del vuoto di scritture, ai livelli minuti degli strati popolari - perciò tentativi, sì sommersi, ma necessari proprio perché non progettati per la "classe colta".

 

(Il primo a parlare di "vuoto letterario" era stato Pasolini su Nuovi Argomenti del gennaio 1971. Cinque anni dopo, su Altri Termini di febbraio 1976, Giuseppe Conte polemizzava ancora con il decennio precedente dicendo che aveva dato luogo a una "tabula rasa". Invece su Pianura del maggio 1974, Sebastiano Vassalli, l'editore e perciò presumibilmente estensore della nota editoriale, scriveva: «La letteratura non è morta, e catalettica vive disseminata in libretti, autoedizioni, roba stampata alla macchia o in poche copie economiche: ma in fondo è bene, davvero, che gli alfabeti la ignorino.» [I dettagli sono presi da Giuliano Manacorda, Letteratura italiana d'oggi. 1965-1985, Roma 1987].)

 

Ora qui, accennati gli antefatti e il clima, non si parlerà di quale fu il seguito degli eventi, il loro esito e cos'altro ha condotto alla contemporaneità. Questo certo può rientrare fra i nostri compiti di oggi, dato che naturalmente la letteratura, come in ogni occasione di trasformazione, non si è trovata dai "ribelli" anni '70 al cosiddetto post-moderno senza ragioni. Ma qui, intanto, raccontare la storiella e trascrivere qualche contenuto della rivistina antenata mostra un ritaglio di cultura poetica e di impegno della gioventù anonima di allora. In quanto a connessioni fra esperienze sotto l'emblema dello stesso nome, si potranno eventualmente notare il punto di partenza dei mezzi materiali e il fondo intenzionale, sostanzialmente aperto alle differenze e ai gradi di preparazione.

E dunque avvenne che …

 

 

La “storiella”

 

A cavallo fra il 1977 e il '78, quattro amici non ancora trentenni appassionati delle lettere, tre dei quali si cimentavano nella scrittura in versi, due frequentavano anche i "laboratori" di Pagliarani, uno si dedicava specialmente alla teoria e alla critica, si imbarcarono nell'avventura di pubblicare una rivista letteraria. A quei tempi e nelle loro condizioni avrebbero iniziato col ciclostile e poi, appena si fosse incassato il denaro necessario da un certo numero di futuri abbonamenti, era prevista la stampa in tipografia.
Dopo una riunione conclusiva sui vari aspetti dell'impresa, i quattro si assegnarono le parti e uno di essi ebbe l'incarico di trovare un titolo alla pubblicazione nascitura. Il titolo proposto fu motivato così: perché non si trattava di una "parola" della lingua italiana, né era stato derivato dall'italiano o dal greco o dal latino; perché quindi non significava nulla di esplicito, riferito, come dire programmatico, perciò rendeva libero da presupposti e compiti "parziali" il progetto letterario; infine perché fra tanti insiemi fonetici provati sembrava semplice, scorrevole, di suono piacevole. Talché insomma la poesia da pubblicare non avrebbe dovuto essere vincolata a nulla se non alla sua tipicità più nuda: la suggestione, da qualunque intreccio di senso, di eloquio e di sonoro procurata. Gli amici, chi amante di Fortini e Pasolini, chi di Luzi e Penna, furono d'accordo su quel nome.
Ma trovato il nome, scelti i testi per l'esordio e stabilito chi si occupasse di una nota redazionale, il resto della vicenda fu molto deludente. Della rivistina uscì il numero 1, con l'autorizzazione del tribunale in sospeso per un problema di qualifica del direttore, quindi forse da ritenere clandestino e senza prezzo sulla copertina. Ne furono prodotte 100 copie e distribuite non più di una ventina, a benevolenti amici degli amici. Il quartetto, mentre preparava il numero 2, in attesa di contatti e soprattutto degli abbonamenti annuali, constatò che nemmeno i benevolenti si abbonavano, nessuno dava riscontro ai foglietti appesi nei bar, alle librerie quella "roba" non interessava, «la poesia? ma queste sono cose che ne vende giusto qualcuna Feltrinelli al centro», e così via. Che fare?
Una precauzione economica era stata presa, rendendo quadrimestrale la rivista solo per questo. Ma i quattro giovani sapevano di non avere abbastanza soldi da andare avanti chissà fino a quando. Fra di loro, i due scapoli erano supplenti saltuari nelle scuole; gli altri due, da poco sposati, pagavano l'affitto e avevano tante cose della casa da sistemare. Quindi riepilogarono. Stando ai piani, già dal secondo numero le pagine dovevano aumentare, per una pubblicazione da tre sole uscite l'anno che contenesse più testi e almeno un articolo teorico. Pertanto, la spesa per il tipografo che forniva le copertine e per l'offerta al parroco che prestava il ciclostile rimaneva la stessa, però sarebbe raddoppiata ogni volta quella per le matrici, la carta e l'inchiostro, inoltre bisognava comprare subito una decente macchina da scrivere e, secondo il suggerimento dell'esperto, formare una cooperativa editoriale per aggirare l'ostacolo del direttore giornalista, sborsando i costi di altra burocrazia. Infine, realisticamente, su tutto c'era stata la totale indifferenza, perciò continuare per chi, e con le poesie di chi, sempre gli stessi?
I volenterosi quattro ritirarono la domanda d'autorizzazione e l'esperimento finì lì. Si divisero le copie avanzate di quell'unico quaderno, come ricordo.

 

 

La “rivistina”

 

Emeresi si presentava con la copertina bianca, e questo non per risparmiare ma quale metafora visuale: si ricominciava a scrivere dal "vuoto" di cui avevano parlato critici e poeti. Molto economica era semmai la stampa della copertina, tirata via dal tipografo "alla meno peggio". Il titolo, a rinforzare graficamente il senso convenuto, era scritto ondulato, come se le "lettere" fossero liberamente in movimento e come fossero note su un pentagramma. A parte la copertina, tutto il resto era preparato e confezionato dai ragazzi, dalla dattilografia delle matrici alle copie di circa mille fogli all'impaginazione alla spillatura e piegatura, in un'attrezzata stanza d'oratorio nella parrocchia maggiore del popolosissimo quartiere.

 

 

 

Dalla Nota Redazionale

 

«Fare una rivista autofinanziata di poesia può essere, tra le altre cose, una verifica delle possibilità di espressione di più voci che lo spazio individualizzante del "libro" e la sua circolazione specialistica rischiano di rendere impossibile. Non si tratta, nel nostro caso, e forse non può trattarsi in nessun caso, del veicolo di esposizione di un "gruppo" ideologicamente e stilisticamente omogeneo, che pare nella attuale situazione di confusione e di polverizzazione degli stili, ipotesi quasi impraticabile.

In Emeresi si può osservare, comunque, di comune, un rifiuto talvolta polemicamente esplicito di certo estremistico sperimentalismo linguistico (tout court). Maggiori sono, però, le differenze ...»

 

 

Poesie di Maurizio Reali

 

L'autore era brevemente presentato così: «In Reali l'aspetto ritmico-musicale (con ascendenze che vanno da Verlaine a Sandro Penna) definisce il gioco dei versi come esercizio di articolazione fonatoria. Quasi un ricomporre la parola e un riappropriarsene dopo il "conflitto". Con tonalità e colori "tenui" e un tono smorzato: quasi un parlare con pochi amici in uno spazio familiare. Nelle ultime prove si ha una estensione dei luoghi: dal cortile alle strade della città, e uno stato di screpolatura, di disfacimento. Dove il ritmo si scheggia ma non rompe la sua musicalità; quando non addirittura non recuperi i corpi estranei (V. in "Da Baudelaire" che segna la sutura tra i due momenti: Rognoso / Dia riposo).»

 

(senza titolo)

 

Dopo il conflitto

non sai più che dire

perduto nel buio con tremila lire.

 

 

(senza titolo)

 

È tenue questo sole
autunnale che langue
nel quieto cortile.

 

 

(senza titolo)

 

Spesso ti perdi a sera
per strade malfamate
cercando un sogno
di te stesso adolescente.
Così ti penso per gioco
e penso ai tuoi occhi
vivi e intelligenti
esiliati per sempre
nel triste andirivieni
del tram e della gente,
tra la luce e il clamore
di un dicembre
dove brucia il tuo cuore.

 

 

Da Baudelaire

 

Continuo cadere di pioggia
sulle città e sui borghi
brumosi, lento scrosciare
che neanche dà pace
agli stanchi abitanti
delle tombe vicine.
Inquieto
s'agita il gatto
col corpo rognoso
cercando un letto
che gli dia riposo.
L'anima d'un vecchio poeta
erra per la grondaia
con voce di spettro,
mentre il pendolo
fa più lunghe le ore,
e la donna di picche
e il fante di cuori
parlano mesti
passati gli amori.

 

 

(senza titolo)

 

È una cancrena di strade
questa città, che si perde
a mezzogiorno, a Cinecittà,
in una rovina di calce,
e poi si svolge nella piana
dove i Castelli si aprono
in un baratro di luce
ad illuminare la ruggine
di cancelli e ortiche.
Qual è la febbre che divora
la pomice delle tue mura
e fa del tuo fiume
una fangaia di lische.
Tu che mi condanni
a un eterno cammino
nel tuo labirinto,
sei un ventre di vacca
un osso gelato dal vento
e hai il fiato
d'un topo appestato.
Il tuo sangue
è un volto di donna
che si disfa
nel naturale peccato
della sera.

 

Poesie di Claudio Persia

 

L'autore era brevemente presentato così: «Persia invece tenta di recuperare modi e forme espressive tradizionali attingendo al versante "officinesco" degli anni '50, con un salto polemico di tutto lo sperimentalismo e epigoni. Il ritmo, già riconoscibile, è ostentato dalla sua regolare rottura per immediata evidenza di sé, mentre l'emotività dei sensi è quella di "un cuore vivo che si gela", nel confronto diretto con la suddetta paternità stilistica. Tutto questo con una irrisolvibile tensione al "racconto" in un'incompiuta e insoddisfatta ricerca della misura (oggi, forse, non recuperabile) del "poemetto". Con l'inattualità che ne consegue.»

 

(senza titolo)

 

Lui era un albero con rami
formidabili, pieni di luce.
Le sue braccia le offriva
al fremito della terra e, un giorno,
a una guerra.
Ora è esiliato
vive stancamente
in un'isola di fango e di cemento
sperduto fra la gente.
Intanto la pioggia scroscia
sui vetri violenta. Inquieterebbe
le bestie, il lontano abbaiare dei cani.
Il vecchio ricorda le giornate di ottobre
il fervore dell'uva, il fermentare
del mosto. O il sudore
del suo corpo sano
alle carezze della sua prima donna.
Il sudore di un corpo che ora muore
mentre la luce si spegne nelle case
e un lampo illumina la notte.

 

 

(senza titolo)

 

Nella spoglia pianura dove scorre
cauto il Liri, trascinando
rami perduti e il piscio dei cani
mio padre ha le mani di foglie
e di legno verde il cuore.
Mio padre è un'aquila col rostro
rovente, le ali spiegate al favore
del vento, sopra un paese di terra
centro del mondo. Mio padre
è la sera nevosa la strada
deserta le chiacchiere intorno al camino
la gola che esalta un bicchiere di vino
nuovo per salutare la notte e la luna.
È l'odore acre di una donna
che attende furtiva l'amante
tremando nel morbido seno,
mentre il marito è al cantiere lontano.
Mio padre è una cosa che muta
è un cuore vivo che si gela
è un forte petto che si piega.
Mio padre è una porta sbarrata
agli uomini e ai cani, è un velo
sull'onda dei monti è la polvere
dei tramonti e dei campi seccati.
Mio padre è un paese cambiato.

 

----

 

(maggio 2016)

In questa pagina:

- poesia contemporanea e del passato, edita e inedita, con o senza note di presentazione o commento;

- prosa contemporanea e del passato (brani), edita e inedita, con o senza note di presentazione o commento.

 

Cercare in Archivio quando l'oggetto non è più presente.

 

... forse solo chi vuole s'infinita,
e questo tu potrai, chissà, non io.
(clicca l'immagine)

 

Archivio

Sette poesie inedite

di Cinzia Della Ciana

nel n. 3 del 28 marzo 2016

Poesie da
Il senso del ritorno

di Rosangela Palmas

nel n. 2 del 17 gennaio 2016

Home Letteratura Critica Teorica Libellus Editoriali Procedure Biblioteca Staff Top Page

 

© Tutti i diritti come riservati nella home-page del sito. Dati legali alle Note Legali.