Redazionale
Il redazionale alla pagina Teorica, anticipato in Emèresi
Conversazioni di Letteratura (di Facebook) nel post
del 16/06/2016, ha dato per esito uno scambio di opinioni
con il signor Luigi la Via e la possibilità, necessità,
di ampliare il confronto fra le idee dei due pensatori inizialmente
chiamati in causa.
Osservazioni di Luigi la Via
Buon materiale di attenzione. Il buffo è che le
due posizioni con tutta evidenza non erano contrapposte,
tuttaltro. Non solo, ma, in linea con considerazioni
e visuali attinenti alla stessa impressionante sostanza
trovo anche il Croce daccordo, in pieno, in ciò
che mi insegna (in età di ginnasiale [poi lo trascurai]).
Ed è molto sottile. Convincente. Fa piacere capirlo
bene. Lo scrittore, larchitetto, è devoto pienamente
alle esigenze di ciò che fa, e nientaltro.
Non potrebbe, pena il disastro, interessarsi, in un certo
senso, di politica o sociologia o chimica. Eppure deve conoscere
tutte queste cose, tutte come in Moby Dick presenza
di scienza dei cetacei e delle navi. E devono entrare nellopera,
che è il mondo (ciò che egli fa). Ma tutto
lì (nel romanzo) è realtà e deve essere
naturalmente irrealtà, o viceversa senza potere
riuscirci ma deve farlo quando imprende a farsi arte
(immagine). Ciò costituisce secondo la sensibilità
di artisti di questo tipo la forza, natura stessa paradossale,
magica di ciò che appunto significa, in essenza,
immagine (dico proprio, da un punto di vista logico, filosofico).
[Voglio sperare, Emeresi, di non essere stato oscuro].
Risposta di Emèresi
Gentile Luigi la Via, ecco una meno frettolosa risposta
alle sue osservazioni. Lei le conclude sperando di non essere
stato oscuro, e non lo è stato, salvo in quella iniziale
sulla quale tornerò più avanti. Tuttavia,
in primo luogo, deve essere altresì chiaro che lintervento
di partenza di Emèresi conteneva più scopi
di stimolazione rispetto a quanti ve ne fossero di affermativi.
Ovvero intendeva indicare le alternative di pensiero, o
anche delle motivazioni inconsapevoli ma attive, che presiedono
la applicazione artistica (e letteraria) e che
sempre coscientemente presiedono la critica
(analisi o interpretazione). In tal modo voleva ri-sollecitare
riflessioni su cosa sia davvero letteratura (e da ora diamo
per scontato che parliamo di ogni arte) poiché quella
forma di presidio culturale in senso lato sembra,
a me, ormai smarrito da una cospicua parte di scrittori
e di lettori. E il tema del realismo è parso molto
adatto al fine. Per tale ragione rinnovo il ringraziamento
che le è stato porto nella nostra prima replica.
In secondo luogo, mi sembra di poter affermare che la questione
di cosè davvero letteratura non sia affatto
conclusa e oggi improponibile, sebbene dibattuta per oltre
due millenni dai dotti e presso i dotti, in filosofia come
in poetica (nel senso aristotelico). Ritengo che le siano
note lenormità dello spettro di poetiche (in
senso stilistico e contenutistico) che si sono sviluppate
nel corso del Novecento, fino a frammentarsi in una miriade
di tendenze, e il risorgere intenso del dibattito critico-teorico
del dopo strutturalismo, fino a spegnersi esaurito in pure
ipotesi sullavvenire. Tra produttori e pensatori cè
oggi, di nuovo, chi, nellincombenza di scottanti problemi
sociali e civili globali, afferma la necessità di
testi che mettano in campo quei contenuti, e cè
chi, con intenzioni dissidenti o rifondative, propugna una
scrittura ove si esalti la forma. E si rinnovano obiezioni
reciproche, da un lato di soggettivismo e privatizzazione,
dallaltro di asservimento politico-sociale, della
letteratura. Valgano come esempi la massa di narrativa che
punta esclusivamente allinteresse per la vicenda e
il problema, e la valanga di versificazioni che replicano
classicismi o sperimentazioni formali ormai darchivio.
Nelluno e nellaltro caso, vista la sua affezione
per Croce domando: non le sembra tutto ciò un teatrino
di pregiudizi contrario a ciò che dovrebbe nascere
come intuizione dellarte? Fra tecnici
che progettano forme apriori e novellatori che elaborano
concetti apriori, dovè situata la immagine
naturalmente irreale della realtà?
Insomma, lei dà per evidenti alcune concezioni.
Io penso che la definizione della letteratura non sia dicibile
una volta per sempre, nel senso che in ogni epoca va ritrovata,
ovviamente anche attraverso i contributi di chi lha
già filosofata, criticata, anche scientificamente
analizzata. Daltra parte è il divenire,
forse oggi meno elegante del passato, ma soprattutto più
convulso nel ritmo e caotico nei modi, che ripropone le
tematiche sulle quali, appunto, si diviene.
Ma mi pare, comunque, che la sua idea dellarte non
discordi con quanto scritto nella nostra pagina il 16 giugno,
che anzi sia piuttosto vicina, poiché lei ne parla
come di immagine irreale della realtà
ed Emèresi si esprime sulleffetto in termini
di sorpresa davanti a una differenza con la realtà.
Resta, invece, la perplessità che a suo parere le
opinioni dei teorici lì citati in causa non fossero
contrastanti. Vorrei allora mostrarle che lo erano, se ha
la pazienza di seguire un altro tratto di discorso un poco
articolato, perché le idee di Lukács vanno
catturate nella sua cospicua loquela, che tenta di mistificare
la forte ideologizzazione con una pura filosofia estetica.
Si tratta di riprendere lintervento di Emèresi
del 3 giugno, intitolato Il Realismo. Non politica ma
cultura. Lo legga fino alla citazione di Lukács
compresa e torni a questo punto. Ebbene dopo quel passaggio
il critico prosegue: «Ora, i veri grandi realisti
non solo riconoscono e ritraggono questa situazione, ma
la affermano come esigenza: sanno che la contraffazione
della realtà obiettiva, causata naturalmente da fattori
sociali - il sezionamento delluomo totale in uomo
pubblico e privato - significa la deformazione, la mutilazione
dellessenza umana. Dunque non solo come grandi illustratori
della realtà, ma anche come umanisti essi protestano
contro questa inevitabile contraffazione, contro questa
configurazione spontaneamente costituitasi della società
capitalistica.» Come vede si parla di illustratori
della realtà. E per essere esauriente le trascrivo
un altro passo: «Realismo significa dunque plasticità,
perspicuità, esistenza autonoma dei personaggi e
dei rapporti tra i personaggi. Esso non comporta affatto
la negazione del colorismo, del dinamismo psichico e morale,
inseparabili dal mondo moderno. Soppone soltanto a
un culto del colore, del momentaneo stato danimo,
che comprometta il carattere integrale delle figure e della
tipicità obiettiva dei personaggi e delle situazioni.»
A me pare che perspicuità, carattere
integrale, tipicità obiettiva,
illustrazione significhino trasparenza, oggettività,
riproduzione della realtà, cioè non immagine
bensì calco.
Marcuse invece scriveva: «Lestetica marxista
deve ancora domandarsi quali siano le qualità dellarte
che trascendono il contenuto e la forma sociale specifica
e le conferiscono un carattere di universalità; deve
spiegare come mai la tragedia greca e lepica medievale,
a esempio, possano ancor oggi essere vissute come grande,
autentica letteratura, pur appartenendo luna
allantica società schiavista, laltra
al feudalesimo. [...] Per quanto correttamente si analizzi
una poesia, un dramma, un romanzo in termini del loro contenuto
sociale, resterà ancora da stabilire se questa o
quellopera in particolare sia effettivamente valida.
Ma la risposta non può, di nuovo, essere data in
termini dei rapporti specifici di produzione che costituiscono
il contesto storico di quellopera. La circolarità
del metodo è evidente, senza contare il facile relativismo
di cui esso cade vittima e che risulta palesemente contraddetto;
vi sono infatti certe qualità dellarte che
permangono attraverso tutte le modificazioni dello stile
e i periodi storici, come il carattere di trascendimento
e di estraniazione, lordine estetico, il manifestarsi
del Bello.»
A questo punto dovrebbe esserle evidente lopposizione
di Marcuse alle tesi di Lukács, e anche la sua prossimità
allidea dellarte quale immagine
(come è citato di lui appunto nell'intervento del
16 giugno: il "contenuto che si è fatto forma").
La ringrazio dellattenzione e la saluto cordialmente.
Se verrà a leggerci nella nostra rivista (il sito)
ci conoscerà meglio e sarà anche più
agevole continuare la conversazione.
Replica di Luigi la Via
Grazie, Luigi Arista, della studiata risposta. Ma dammi
del tu! Siccome codesto, che lei dice, potrebbe per qualche
aspetto forse danneggiarmi per lavvenire, per quei
pochi giorni che mi restano di questa sciocca fantocciata
che chiamiamo vita, ecco, ci sarà per caso altro
modo? Così parla un individuo in Pirandello; la gente
dice proprie visuali (sulla vita, appunto) molteplici dimodoché
Kundera dirà che i romanzi non sono filosofici, non
si impongono scientificità, uno li scrive non per
lamore di dire cosè vero, è osservatore
(contemplante, attento, attonito) della realtà, la
situazione umana in particolare è presa nella trappola
della politica (che dice la verità sociale): è
lintuizione poetica dei seguaci di Croce. Limmagine
è realtà o vera o invece falsa [Tractatus]
e a volte inverosimile [vedi Magritte, Baudelaire, fratelli
Grimm]. Sabina [vessata dai vincoli stretti del regime]
faceva apposta a dipingere realtà che non si vedono
in natura. Però, ora, comè che la stessa
cosa può essere in immagine fallimentare cattiva
o deliziosa (quella stessa)? Ecco qui scatta direbbero Freud
e Aristotele, lumorismo aereo di Kafka, che rende
a squisito sottile gusto a chi lo coglie, ovviamente
le cose forse che un filosofo valuterebbe vili, pedestri
o angoscianti, o magari riprovevoli. Larte è
la forma.
(pubblicato in Emèresi ad agosto 2016)
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